Nell’alto medioevo la moneta era poco diffusa e rara proprio perché non era dotata di un sistema di tassazione a legittimarla. Il sistema feudale, prevedeva che il Signore del Feudo richiedesse una percentuale sulle attività e sui beni della popolazione; in mancanza delle risorse per pagare tali tributi, il Feudatario pretendeva delle prestazioni di servizi in modalità che di fatto si avvicinavano molto ad una forma di schiavitù.

Guardando a tempi anteriori la diffusione della moneta, si evince nettamente che questa sia un sistema assai più dignitoso ed equo per regolare gli scambi di risorse e servizi, contenendo in modalità più bilanciata e meno invasiva tutti gli strumenti per regolamentare al meglio ogni transazione.

Dopo l’anno mille avvenne una ulteriore rivoluzione copernicana in ambito finanziario, venendosi a manifestare la prima forma di quello che si può definire il credito moderno. A fare da protagonisti in questa svolta furono i Cavalieri Templari, che avendo sviluppato una formidabile dotazione logistica a livello internazionale, si capacitarono di quanto fosse estesa la propria copertura territoriale e di essere in grado di garantire, attraverso la propria rete, il trasporto dell’oro, conseguentemente, allo scopo di eliminare i rischi ed i costi logistici che tali trasporti richiedevano, iniziarono a scrivere delle vere e proprie Lettere di Cambio nominative o al portatore, che consentivano così di spostare il valore anche di svariati chili d’oro pressoché ovunque essi fossero presenti con le proprie strutture, senza sottoporre i beni preziosi ad alcun rischio.

Presto, con l’intensificazione delle operazioni, i Cavalieri Templari acquisirono contezza di emettere molte più lettere di credito del reale capitale in loro possesso e questo poteva avvenire unicamente grazie alla fiducia di cui godevano per via della loro reputazione.

Di fatti quando Filippo il Bello decise di sciogliere l’Ordine Templare allo scopo di appropriarsi delle sue ricchezze e non pagare il proprio debito, non trovò l’oro, non perché questo fosse stato nascosto chissà dove, ma perché semplicemente non vi era già più, essendo stato coerentemente mobilitato per investimenti in altri beni, dal momento che oramai era talmente raro che l’oro fosse chiesto indietro da chi lo aveva loro affidato, che era palese la convenienza dei Templari non fosse più nell’accumulare l’oro stesso, ma nel far girare le lettere di cambio e questo fu il primo episodio della storia in cui si manifestò l’originario precursore di quello che definiamo credito moderno, caratterizzato da una espansività non più legata ad una risorsa finita, ma un credito flessibile ed adattabile alle esigenze del mercato e dell’economia reale.

Il secondo passo verso il sistema che definiamo credito moderno fu l’emissione delle prime Note di Banco da parte dei banchieri delle repubbliche marinare, che emettevano questi titoli al portatore con un valore corrispettivo in denaro liquido. Nell’utilizzo di tale strumento, era fondamentale di non emettere Note di Banco per un valore nominale superiore a quello che l’istituto di emissione era in grado di coprire materialmente, perché tali note di credito prima o poi sarebbero tornate alla sede di emissione e se il banchiere non fosse stato in grado di cambiarle in denaro contante, avrebbe subito la procedura di rottura del banco, che consisteva proprio nella distruzione fisica del banco dell’istituto, con confisca dei denari rimanenti, da qui la nascita del termine “bancarotta”.

Lo Stato, per legittimare e rendere stabilmente accettata la propria moneta ha bisogno che tutti paghino le tasse nella sua valuta, al tempo stesso, avrà bisogno del contributo da parte delle realtà commerciali e produttive, ovvero dei loro prodotti e servizi, a cui accedere per realizzare strutture e progetti della Cosa Pubblica. In uno Stato di Diritto, il Governo chiede collaborazione spontanea, quindi senza dover ricorrere all’uso della forza, e appunto per questo motivo sono state inventate le tasse, che permettono di rendere legale e legittimo l’accesso alle risorse private da parte dello Stato, senza danneggiare le imprese che vengono così remunerate nella valuta a corso legale con cui potranno pagare stipendi, tasse e capitalizzare l’eccedenza di profitto. In questo modo, l’uso della forza verrebbe applicato unicamente all’infrangersi unilaterale del patto sociale nell’ambito del pagamento delle tasse, qualora non venissero corrisposte.

A prescindere dall’adozione di una moneta ad emissione pubblica come era la Lira italiana originariamente o che lo Stato abbia adottato una moneta emessa da banche private come l’Euro, il Governo è in ogni caso costretto a legittimare attraverso le tasse tale valuta, perché se si potesse non pagare le tasse, non sarebbe necessario accettare forzosamente alcuna moneta, che decadrebbe di fatto, mandando all’aria lo stato sociale che finirebbe con l’implodere, dal momento che nessuno accetterebbe più di essere pagato dallo Stato con tale moneta, quindi smetterebbero di fornirgli beni e servizi; di conseguenza non ci sarebbe un mezzo di pagamento ufficiale, certo ed affidabile e questo avrebbe ripercussioni devastanti ed immediate su ogni attività commerciale e produttiva, perché i prodotti ed i servizi smetterebbero improvvisamente di avere pronta conversione in risorse di base per vivere, saldare le bollette, pagare gli affitti e risparmiare, di conseguenza nessuno potrebbe investire tempo e patrimonio materiale in un meccanismo che non possa garantire un ritorno immediato, stabile ed adeguato di risorse essenziali.

Il reale valore della moneta, che si può definire signoraggio, è il risultato della sottrazione del suo valore intrinseco dal suo valore nominale, ma tale valore deve essere garantito dalla stabilità e dalla qualità del patto sociale che gli fa capo.

La moneta in circolazione attualmente in occidente è da considerarsi quantitativamente abbondante rispetto al passato perché ivi sono molto sviluppate le attività produttive e commerciali ed è fisiologico, come conseguenza diretta di tali dinamiche, un aumento della massa monetaria, che viene emessa gradualmente per far fronte all’espansione degli scambi commerciali.

Per questo motivo ad esempio, con la crisi economica del 1929, la Germania, al tentativo di emettere più moneta di quanto avrebbe potuto sostenere il tessuto industriale e commerciale, si è ritrovata immediatamente a subire un devastante contraccolpo inflattivo, che ha solo dato il colpo di grazia all’economia nazionale già sull’orlo del collasso.

Sono i ragionieri di Stato, coloro che possono quantificare con precisione quanta moneta possa essere emessa dallo Stato, in coerenza alle capacità produttive ed alle condizioni dell’economia reale, fattori determinanti da quantificare per comprendere quanta massa monetaria il sistema possa effettivamente reggere.

Il sistema monetario e prima di esso i sistemi di scambio pre-monetali, sono una tradizione che nasce dall’esigenza delle società di ottimizzare il frutto proveniente da risorse, beni e servizi creando una interdipendenza virtuosa che ne valorizzi il potenziale in concreto. Partendo da questo concetto centrale, è palese la deriva contemporanea che ne ha pervertito la funzione tradizionale ed originaria, inficiandone l’efficacia, causata dal sopravvento della finanza speculativa, che a nulla giova se non al drenaggio sistematico e parassitario delle risorse dall’economia reale, per neutralizzarla nelle mani di pochi sfacciati ed impenitenti profittatori, socialmente del tutto improduttivi.

Tali speculazioni non solo in tali proporzioni rappresentano un crimine nei confronti dell’umanità, ma non fanno altro che allontanare società ed individui dal benessere diffuso, dunque allontanano la moneta dalla funzione originaria per cui è stata pensata. È bene ricordare che dal 1998 in tutte le nazioni che fanno parte della cosiddetta Unione Europea e dell’OCSE, i mercati finanziari regolamentari possono avere i propri regolamenti interni e statutari decisi dalla società di gestione stessa, quindi tale potere supremo che codeste conglomerate hanno sull’economia reale sono in mano a dei semplici privati che possono decidere delle sorti delle nazioni senza dover nemmeno minimamente render conto agli Stati stessi, anzi, potendoli addirittura ricattare qualora l’interesse pubblico venisse ad essere in conflitto con il loro.

Ripercorrendo storicamente la genesi della moneta, stabiliamo che nasce alla metà del VII secolo A.C. e prima della sua comparsa, la gestione degli scambi pacifici veniva effettuata tramite usanze di reciprocità sociale ed attraverso il baratto; successivamente tali sistemi si emanciparono in forme di “moneta naturale” o “moneta merce”, per evolversi infine nella forma di utensile in metallo dal valore rappresentativo.

Si può attribuire alla necessità di gestire una rete commerciale che si faceva sempre più articolata, la ragione per cui fu pensata la moneta, che essenzialmente è un’evoluzione dal sistema del baratto in uno strumento di scambio utilizzabile universalmente a prescindere dal bene oggetto della transazione.

Nel sistema del baratto invece, il venditore poteva ottenere il bene desiderato solo dopo una serie di scambi sistematici, che però non facilitavano con la dovuta efficacia la compravendita di beni e servizi, venendo a mancare un mezzo neutro ed universale che agevolasse adeguatamente gli scambi, favorendo l’espansione della produttività.

In assenza di moneta era praticamente impossibile stabilire un sistema diffuso di risparmio, considerato che chi produce un bene deve consumarlo o venderlo prima che deperisca e che solo una piccola parte dei beni può essere conservata, tra l’altro non senza costi in termini di lavoro e strutture dedicate, come magazzini sorvegliati o caveaux per i beni preziosi.

Con la nascita delle economie agricole organizzate, l’espansione delle attività rese sempre più evidente la necessità di un coordinamento generale in un sistema di commercio più strategico ed articolato del baratto, perché con l’aumento dell’intensità degli scambi, diventò necessario appunto il tramite di uno strumento accettato universalmente in pagamento da chiunque, consistente in un bene con un proprio valore dapprima essenzialmente intrinseco. Tale “moneta merce” o altrimenti detta “moneta naturale”, pur se disponibile in forme svariate doveva godere di determinate prerogative per fungere da mezzo di scambio, tra cui la non deperibilità, caratteristica fondamentale affinché tale strumento di scambio non fosse soggetto a perdere valore nel tempo, favorendo la tesaurizzazione dello stesso in attesa di scambi futuri.

Altre prerogative fondamentali con cui la moneta dovette misurarsi da subito furono la verificabilità, caratteristica in grado di ridurre le incertezze legate all’accettazione della stessa come mezzo di pagamento e per ultima ma non in ordine di importanza vi era il fattore della divisibilità, ovvero la “moneta merce” doveva necessariamente essere, in qualche misura, frazionabile.

Diverse civiltà dotate di scrittura hanno mantenuto l’utilizzo di beni come moneta fino a tempi in cui già esistevano forme di monetazione alternative come in Giappone, dove il riso è rimasto l’unità di conto nei grandi feudi fino alla loro abolizione, nel mondo latino aveva grande rilevanza il bestiame mentre in Islanda di ogni merce si stabiliva l’equivalente in pesce secco fino al XIX secolo; anche la Cina ha utilizzato una vera e propria “moneta merce” sotto forma di lingotti d’argento fino ai primi anni trenta del Novecento.

Anche i metalli preziosi nel sistema di scambio hanno assunto e mantenuto a lungo una rilevanza centrale, essendo frazionabili e mantenendo le stesse caratteristiche fisiche, prerogative essenziali perché potessero svolgere la funzione di “moneta merce” nella forma di lingotti od anche in polvere.

Il sistema di pagamenti attraverso i metalli dava luogo però a diversi inconvenienti, ovvero la problematica del trasporto, che esponeva i beni al rischio di essere trafugati, la necessità di verifica del peso dichiarato ed il rischio che il metallo non fosse puro. Queste criticità comportavano la necessità di trasportare bilance ed altri ingombranti strumenti per verificare la purezza del metallo stesso.

Secondo la tradizione, la prima moneta venne coniata da Creso, Re di Lidia, nel VI secolo A.C.

L’antropologo David Graeber ha stabilito un nesso storico tra coniazione e guerra, teorizzando che le prime monete fossero state coniate per retribuire i soldati.

I saccheggi conseguenti alle invasioni, consistevano effettivamente per lo più in oro e argento che venivano fusi per ricavarne monete, convertendole così in beni trasportabili e cancellandone la precedente identità.

Alle popolazioni vinte, venivano quindi imposti i tributi da corrispondere nella moneta del conquistatore, che attraverso tale strumento si assicurava di fatto l’effettivo dominio ed autorità sulle terre vinte, imponendo il proprio sistema monetario.

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